giovedì 9 aprile 2009

Domozimurghi

Non è una parolaccia, né un’offesa; il termine usato nel titolo è la trasposizione (un po’ arzigogolata) in italiano del termine anglosassone homebrewer, cioè colui che si fa la birra in casa. Zimurgia (o zimologia) è il termine che definisce l’insieme delle conoscenze dei processi di fermentazione (da zyme, che in greco significa lievito, fermento); domo (più facile questo) deriva dal latino domus,casa. La premessa era necessaria, per dare un tocco di classe a questa figura ormai quasi leggendaria, quella dell’homebrewer, che nel mondo della birra ha dato vita ad un vero e proprio universo parallelo. Sono moltissimi infatti gli appassionati che si cimentano in questa (legalissima)attività con entusiasmo e (spesso, ma non sempre) competenza, creando in Internet una solida e ramificatissima rete di siti dedicati allo scambio di consigli, pareri, impressioni, ricette: tutto incentrato sul “fai da te”. Su sollecitazione del nume tutelare di questo blog do alcune indicazioni di massima per tutti coloro che intendessero avvicinarsi a questa attività (non passatempo, mi raccomando).
In pratica: esistono tre modi di produrre birra casalinga.
Il primo, e più semplice (è da qui che ciascun homebrewers è partito), è il sistema dei Kit luppolati Si tratta cioè di acquistare, assieme al kit di produzione, una o più confezioni contenenti estratti di malto luppolati e già pronti per l’uso. E’, in pratica, un mosto già pronto, che ha bisogno solo di essere diluito in acqua e fatto fermentare. E’ lo scalino produttivo più basso, che serve comunque per imparare ad usare l’attrezzatura di base e per cominciare a capirci qualcosa del complesso processo di fermentazione. Per fare questo primo passo è sufficiente possedere il “classico” kit di fermentazione, in vendita anche su molti siti internet (rintracciarli è semplicissimo), costituito, di solito, da: 1 o 2 fermentatori chiusi da lt. 32 con tappo ermetico; 1 o 2 gorgogliatori; 1 o 2 rubinetti; 1 o 2 termometri adesivi a cristalli liquidi ; 1 densimetro ; 1 cilindro da test ; dosatore zucchero ; prodotto sterilizzante ; sterilizzatore per bottiglie; tappatore a 2 leve; mestolo; asta di travaso con valvola di troppo pieno. Più o meno questo è l’essenziale, a cui va aggiunto, come dicevo prima una o più confezioni di malto già pronto per essere avviato al processo di fermentazione. Il costo di tutto questo ben di dio? Fra i 60 e 70 €, all’incirca.
Il secondo è il sistema nel quale si utilizzano estratto di malto non luppolato, lievito, luppolo, e quantità variabili di grani speciali, che hanno, in sostanza, la funzione di dare un apporto più significativo al sapore e al colore della birra. Le birre che così si ottengono sono già di un certo livello e, soprattutto, più varie rispetto a quelle ottenute dai kit già preconfezionati. Solo che ci vuole, da parte del domozimurgo, una maggiore esperienza e un kit di produzione un po’ più avanzato.
Il terzo è il sistema detto All Grain che di fatto riproduce quasi al 100%, con attrezzature casalinghe, il lavoro svolto in un birrificio professionale. In questo livello non si ha più a che fare con estratti, ma con malto in grani (da qui il nome All Grain). Qui le competenze richieste sono ancora maggiori, l’attrezzatura deve essere ulteriormente implementata e l’homebrewer deve anche avere più tempo a disposizione: produrre una birra con questo terzo sistema richiede infatti dalle 7 alle 8 ore di lavoro.
Altre due cose fondamentali per iniziare, oserei dire “trucchi del mestiere”:
BOTTIGLIE: per imbottigliare il prodotto non si devono usare quelle da vino o da acqua minerale, non sono abbastanza robuste. Le bottiglie devono essere scure, perché la birra non ama la luce. Le migliori sono quelle tipo weizen da 1/2 litro o quelle di importazione belga.
SANIFICAZIONE: tutto ciò che viene a contatto con il mosto o la birra e che non viene bollito deve essere sterilizzato (o meglio, "sanitizzato"); questo perché il mosto che va nel fermentatore è, di fatto, un liquido molto zuccherino, una vera gioia per molti batteri: il compito dell’homebrewer é di assicurarsi che questo “zucchero” sia consumato solo dal lievito che viene immesso in bollitura, e non dalle allegre famigliole di cui sopra.
Detto questo: "merita" davvero farsi la birra in casa? I pareri sono infiniti, e tutti più o meno condivisibili. Comunque, la maggior parte delle birre commerciali di più largo consumo sono filtrate e pastorizzate, abbastanza omologhe, monotone e appiattite nel gusto. In genere, i primi tentativi di fabbricazione casalinga danno risultati migliori rispetto a molte birre commerciali in circolazione. Quando invece si fanno i paragoni con le birre di alta gamma, allora le cose cambiano. Per questo, dico io, c’è già tanta roba buona in giro già fatta …. Ma questa è solo la mia personalissima opinione.
E’ "pericoloso" fare la birra in casa? Non è piacevole bere una birra casalinga acida o non ben riuscita, ma non è “dannoso”. I microorganismi potenzialmente tossici infatti trovano nella birra un ambiente sfavorevole grazie all’acidità, al grado alcolico e alla presenza del luppolo (che è un conservante naturale). La birra fatta in casa é molto meno “pericolosa” delle marmellate, conserve ecc. casalinghe, che presentano in percentuale maggiore rispetto alla birra il rischio di sviluppare il botulino. L’unico vero rischio é l’esplosione delle bottiglie; a volte può accadere, a causa della eccessiva pressione dovuta ad un eccesso di carbonazione.
Adesso, chi ne ha voglia, ci provi: non è difficile, vi assicuro che può trasformarsi in un vero e proprio trip.
In coda a questo post volevo segnalarvi l’uscita del numero di aprile del periodico on-line fermento birra (
http://www.fermentobirra.com), nel quale è contenuta una interessantissima video – intervista a Teo Musso del birrificio Le Baladin (che ho più volte citato nei miei post) sullo stato dell’arte della birra artigianale italiane e sugli stupefacenti progetti imprenditoriali che ha intenzione di mettere in atto; se vi va, dategli un’occhiata, nel mondo brassicolo italiano le sue parole hanno alzato un vero e proprio polverone. In questo numero c’è anche una mia recensione (scrivo su questo magazine fin dal primo numero) più dettagliata della sua nuova birra, la Open, alla quale avevo dato un po’ di spazio in post precedenti.

4 commenti:

  1. Grazie mille, potrebbe essere il mio hobby del futuro. Ho anche le ragnatele con i lieviti, come ci hai insegnato tu. Però te sei troppo esigente, non te la faccio assaggiare altrimenti mi smonti.....
    Però a pasqua mi prometti che un bicchierino di vino te lo bevi?

    RispondiElimina
  2. Sono disposto anche a fare degustazioni alla cieca, tanto le tue birre le riconoscerei sicuramente. Per Pasqua sono indeciso fra un Gewurztraminer kastelaz Elena Walch, un Tasca d'Almerita e un Breg Anfora Gravner; andrà a finire che, nell'indecisione, mi scolerò un paio di Boskeun

    RispondiElimina
  3. Bene , hai detto alla cieca? così sia e davanti ad un pubblico giudice e sovrano. Ora però dammi un pò di tempo. Comincerò dal lupino o come si chiama quella cosa lì.........

    RispondiElimina
  4. mettendo n ballo 4 birre belghe insieme alle tue, sono "ciecamente" convinto di riconoscerle, le tue. Per il brassaggio, conviene cominciare dal pippo di loppo, o, in alternativa, alle bacche di ginepro .....

    RispondiElimina

bei tempi...