Il mondo brassicolo italiano è assai variegato, si fa birra con un sacco di ingredienti, oltre a quelli usuali e/o classici. Ci sono birre prodotte con grano kamut, con la mirra e lo zenzero, ci sono altre birre fatte con più di 15 spezie himalayane, altre con l’aggiunta di chinotto di Savona, alcune aromatizzate con i mirtilli (come in Belgio), birre con ribes nero, o ancora birre scure e affumicate, birre acidule maturate in botti di legno oppure fermentate con lieviti da whisky, senza contare, infine, le molte birre prodotte (più di 30, delle quali almeno 5 in Toscana) con l’aggiunta di castagne. L’italiano (parafrasando Maria Louise Ciccone) “le fa meglio”, o, almeno, ci mette molta fantasia nel farle. Tenendo conto di ciò, a Firenze, a Taste, ho volutamente sperimentato (oltre a ciò che ho descritto nell’altro report) una specie di “verticale” fra tre prodotti simili di tre birrifici diversi, aventi in comune lo stesso ingrediente principale: il farro. Il primo dei tre prodotti concorrenti, dal nome Farrotta, è una birra del birrificio pescarese Almond 22 (http://www.birraalmond.com/), aperto 5 anni fa nello stesso stabile in cui fino a poco tempo prima le donne del luogo lavoravano pelando le mandorle, destinate alla produzione dei confetti locali (da qui il nome del birrificio: almond, in inglese, significa mandorla). Una bella birra, bionda e fresca, nella quale viene anche aggiunto miele d’acacia per conferirle quel tocco finale alcolico e setoso che il farro, di sua natura, tenderebbe ad “annacquare”. La seconda è stata la Curmi del birrificio veneto 32 via dei birrai (http://www.32viadeibirrai.com/): una birra biondo paglierino brassata con l’acqua proveniente da due fonti alpine (il birrificio si trova, infatti, sulle pendici del Monte Tomba), che ha come caratteristica principale quella di essere molto watery, rinfrescante e beverina. Interessante anche l’origine del nome, Curmi appunto, che ricorda il nome (korma, poi tramutatosi appunto in curmi) che i Galli davano alla birra che loro stessi producevano con frumento, ma senza miele. Una bella birra adatta alla stagione estiva.
La più interessante delle tre si è comunque rivelata la Enkir, del birrificio Birra del Borgo di Borgorose, vicino Rieti (http://birradelborgo.it/home.php). Per questa birra viene usato il raro cereale chiamato appunto enkir, conosciuto dall’uomo già 10-12.000 anni fa (dicono sia il padre di tutti i cereali e anche il primo cereale addomesticato della terra, che cresce ancora spontaneo in alcune aree della Turchia ed Iran), il cui nome viene mutuato dalla divinità sumerica chiamata Enki, uno dei quattro creatori del mondo. Il geniale mastro birraio reatino (geniale quasi quanto Teo musso del Baladin), con l’amico Gabrile Bonci (definito da Vogue “il Michelangelo dei pizzaioli italiani”) mettono su questa idea produttiva, dando vita ad una birra che contiene il 55% di questo cereale, molto simile al farro: è birra quasi lattiginosa nel colore, ricca di sentori di pane e crosta di pane, insieme ad un leggero fruttato e una vaga sensazione di cereali bagnati, leggermente piccanti, grazie all’uso di un lievito particolare. Più ricca e di carattere delle altre due, vince questa ideale sfida fra prodotti artigianali, comunque di qualità, emblema di quella fantasia produttiva quasi del tutto italiana di cui parlavo all’inizio.
Tre birrifici, quelli citati in precedenza, non proprio vicini alle nostre zone, le cui birre non sono sempre facilmente reperibili: ma vicino a noi, in Garfagnana, c’è un minuscolo birrifcio artigianale, la Petrognola che produce splendide birre (quattro, fra cui una nerissima stout) usando il farro della Garfagnana a marchio I.G.P., pluripremiate non solo in Italia ma anche all’estero. Le sue birre valgono il viaggio verso questo paesino arroccato nell’Alta Garfagnana, ve lo garantisco.
martedì 7 aprile 2009
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Una domanda stupida, ma secondo te tutti possono farsi la birra? e anche se per passione che attrezzatura è necessaria? I costi? Vai birrologo spiega a noi profani come alimentare questa passione. Già il fatto di non dover spendere almeno 100.000 euro come per un ettaro di vigna è consolante..........
RispondiEliminafatto; spero di essere stato il più sinettico e il più chiaro possibile
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