venerdì 15 maggio 2009

Un difficile equilibrio



E' difficile parlare di gusto del vino e dei prodotti tipici senza mai pensare a come vengono realmente fatti. Nel vino dopo la bagarre durata anni sull'uso delle barrique adesso è il momento del vino biodinamico e come guelfi e ghibellini le due parti si trovano su barricate opposte. Si parla estremizzando di vini veri e di vini chimici. Seguendo i blog più interessanti ho letto un pò di tutto e sinceramente ho espresso un mio parere molto semplice: io assaggio prima di giudicare e se il vino è buono.... è buono!

Ma dopo uno scambio di idee ricevo, e giro volentieri al blog, questo articolo da una produttrice di vino, olio e miele a cura di Andrea Terreni della CIA ( non la nota agenzia americana eh!) e mi sembra naturale affrontare anche il problema di cosa noi possiamo trovare nei prodotti, anche di qualità, del nostro paniere enogastronomico e se non stiamo sbagliando qualcosa. Il dott. Terreni scrive:

"Dovendo aprire il convegno sui cambiamenti climatici e
la loro influenza sulle colture agricole e sullo stato di
salute delle api, organizzato da Arpat assieme alla
Condotta Slow Food di Scandicci, ho scelto di farlo
partendo dalle immagini dei mandorleti californiani.
Partendo cioè da una delle realtà nella quale la così detta
“agricoltura industriale” trionfa: oltre 600.000 acri di
monocultura di mandorli (provate a calcolare a quanti
ettari corrispondono!) che hanno sicuramente la
leadership assoluta del mercato mondiale delle mandorle.
Ovviamente però anche questa, come tutte le medaglie,
ha il suo rovescio: 600.000 acri di mandorleto, un
territorio enorme nel quale è coltivata una sola coltura,
equivalgono a un “deserto biologico”.
Deserto che può sopravvivere solo grazie ad un uso
intensissimo della chimica (concimi e agrofarmaci) e …....
sostituendo le funzioni indispensabili per i cicli biologici
(impollinazione) con dei surrogati (pacchi di api
importati da tutto il mondo, Australia compresa...),
In questo contesto agricolo si è manifestato per la prima
volta il così detto fenomeno del CCD!
Lo squilibrio ambientale, l’inquinamento chimico, in
quella realtà hanno raggiunto livelli tali da crollare su se
stessi, dimostrando in maniera inequivocabile il limite
dell’agricoltura industriale.
I complicatissimi e sofisticati equilibri biologici sui quali
si basa il funzionamento degli ecosistemi, naturali o
artificiali che siano, possono essere sostituiti con le forzate
pratiche dell’agricoltura industriale, solo per un limitato
periodo di tempo. Lavorazioni meccaniche ripetute,
concimi chimici, uso di agrofarmaci (anch’essi derivanti
soprattutto dalla chimica del petrolio), monocolture in
successione, cultivar modificate geneticamente. Queste
“meraviglie” frutto dell’ingegno e dello sviluppo
tecnologico riescono a dar vita ad una agricoltura
estremamente competitiva, capace di vincere nel breve
periodo il confronto economico e produttivo con le
agricolture tradizionali. Ma hanno un destino che le
accomuna: rapidamente entrano in crisi di fronte ad una
natura che sembra presentare il conto delle ripetute offese
ricevute.
I fenomeni di desertificazione, la perdita di fertilità,
provocata dalla scomparsa degli insetti e dei
microorganismi che la garantivano, ed ancora la selezione
di parassiti vegetali ed animali capaci di resistere indenni
all’azione dei più devastanti biocidi, sono tutti aspetti
che con cadenza implacabile dopo pochi anni provocano
crisi produttive delle aree interessate dalle colture agricole
industriali.
Come se non bastasse quell’ agricoltura ha la
responsabilità di capovolgere la funzione benefica nel
ciclo carbonio/ossigeno svolto dai sistemi agricoli
tradizionali. Essa infatti produce più carbonio di quanto
non ne assorbano le essenze vegetali coltivate.
Il carbonio è prodotto non solo dalle lavorazioni
meccaniche, ma anche dalle enormi quantità di energia
necessarie per produrre concimi e pesticidi e, ancora, dal
folle girotondo necessario per trasportare le derrate
alimentari prodotte in tutto il mondo. Tutto ciò fa sì che
per la prima volta nella storia dell’umanità gli effetti
dell’inquinamento provocato dalle industrie e dalle auto,
invece che essere mitigati dall’azione positiva delle colture
agricole, sono moltiplicate dal surplus di carbonio
derivante dalle “colture industriali”.
La cosa impressionante è il circolo vizioso che tutto ciò
innesca. I cambiamenti climatici innescati da questi
processi, la loro accelerazione provoca continue
irregolarità e il continuo manifestarsi di fenomeni estremi
negli andamenti metereologici. Questi mutamenti e
questi fenomeni estremi a loro volta influiscono sui cicli
biologici animali e vegetali. Le colture tradizionali, la
fertilità dei suoli, il corretto sviluppo delle popolazioni
animali selvatiche e domestiche sono fortemente
minacciate in una spirale che se non sarà interrotta e
modificata rischia di riportare l’umanità di fronte allo
spettro delle carestie globali.
Certo le api, i nostri alveari collassano per le reinfestazioni
di varroa e per tutte le patologie che ne conseguono, ma
muoiono in questo quadro drammatico provocato
dall’espandersi dell’agricoltura industriale nei più remotiangoli del mondo."


Da semplice lettore mi chiedo: siamo davvero a questo punto?
O sono allarmi non del tutto giustificati?
Vorrei tanto che qualche tecnico del settore mi dicesse la sua, per tranquillizzarmi, o per spaventarmi ancora di più. Il dibattito è aperto.

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