martedì 19 maggio 2009

Dal diavolo all'acqua ... (ops) ... birra santa


Il logo (spettacolare) della Stone Brewery, citata nell'utlimo post, riporta un bell'esempio (graficamente parlando) di un'entità non proprio rassicurante, un bel satanasso cornuto a dovere. Per una questione di "banale" parallelismo, in questo post vorrei cominciare a farvi conoscere l'altra faccia della medaglia: la birra "santa", cioè fatta dall'altra metà del cielo (ammesso e non concesso che gli Stone rappresentino la faccia scura della medaglia), cioè dai monaci trappisti. Dall'estrema innovazione (quella che adesso ha patria in USA) all'estrema, splendida, tradizione, rappresentata dalle produzioni brassicole di una sparuta ma tenacissima pattuglia di monaci, gli O.C.S.O. L'acronimo indica i monaci Benedettini dell'Ordine dei Cisterciensi della Stretta Osservanza. Sono i "famosi" trappisti, che derivano il proprio nome dal monastero francese di Notre Dame de la Trappe, a Soligny in Normandia, dove l'ordine nasce nel 1664, mentre è ufficialmente "approvato" a Roma da papa Alessandro VII nel 1666. Pochi, dicevo: alla fine del 2005, l'ordine contava 97 case e 2.266 monaci (ultimo dato disponibile). Pochi ma "buoni": sono davvero i "duri e puri" (sia detto con il massimo rispetto possibile) del cattolicesimo. E' un mondo a parte, il loro, che dal mondo si tirano fuori fisicamente per esservi ancor più presenti spiritualmente, un mondo fatto di preghiera, silenzio e lavoro ("ora et "labora" è, non a caso, il loro motto). E' un mondo che ha l'obbligo di autosostenersi: ogni monastero, e quindi ogni monaco, si deve industriare per campare delle proprie risorse e, laddove è possibile, per provvedere anche a sostenere chi al di fuori del monastero ha bisogno di loro. E ci si sono messi d'impegno, tutti e subito: per quello che ci riguarda più da vicino, alcuni dei monasteri del Nord Europa si sono buttati a capofitto nella produzione birraria, che faceva già parte del tessuto sociale e produttivo del territorio. Con una triplice finalità: poter offrire ai pellegrini che bussavano alle loro porte una bevanda nutriente, dissetante e "sicura" (essendo bollita); fornire ai monaci stessi una bevanda nutriente e sostanziosa che potesse allievare in certi periodi dell'anno (Quaresima e Avvento) le rigide privazioni alimentari legati ai digiuni liturgici; "tirar su un po' di grano", nel senso di fornire al monastero stesso una sicura fonte di reddito, attraverso la vendita in loco dei propri prodotti (fin da subito eccellenti). Si ahnno notizie produttive fin dal 1700, e comunque gran parte della produzione attuale dei monasteri trappisti ha le proprie radici nella seconda metà del 1800. E' tanta roba. E roba buona. Tanto che, per tutelarsi dagli innumerevoli tentativi di imitazione, nel 1997 i sette monasteri trappisti (sei in Belgio e uno in Olanda) che producevano birra fondano la ITA (International Trappist Association, c'è anche la versione italiana del sito), che determina le condizioni per poter applicare sui propri prodotti il prestigioso logo Authentic Trappist Product. E le condizioni sono semplici, si fa per dire:

• La birra deve essere prodotta all'interno delle mura di un'abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.
• La produzione, la scelta dei processi produttivi e l'orientamento commerciale devono ovviamente dipendere dalla comunità monastica.
• Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci, alla beneficienza e non al profitto finanziario.

Essere nel mondo, ma non del mondo; lavorare ma senza cercare il profitto come fine ultimo; lavorare per poter fare beneficienza, oltre che per sostenersi. Un bello "schiaffo" alla logica del "lavora, consuma, crepa" di Sessantottesca memoria.
I nomi dei monasteri che attualmente si possono fregiare di questo logo: Achel, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren in Belgio, La Trappe in Olanda. Alcuni sono già noti ai più (Chimay per prima), altri hanno diffusione e fama minore: quasi tutti i loro prodotti rappresentano il segmento d'eccellenza della produzione birraria mondiale.
Westvleteren 12°, la miglior birra del mondo. Da qui ripartiremo nel prossimo post (a qualcuno, forse, fischieranno gli orecchi e avrà un riflesso condizionato di pavloviana memoria ...)

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