giovedì 5 marzo 2009

La birra religiosa

La millenaria storia della chiesa cattolica in Europa è attraversata da innumerevoli eventi, alcuni di grande importanza e rilevanza storico/spirituale, altri di tono minore. Uno degli aspetti “minori” all’interno della storia ecclesiastica è sicuramente quello legato alla nascita, produzione e diffusione della birra monastica, che però per una volta, in questo post, diventa protagonista.
Ci eravamo lasciati con i celti, che a partire dal I secolo d. C., danno un’accellerata alla tecnica produttiva della birra: utilizzano pietre riscaldate per la cottura, introducono l’uso di botti di legno per la conservazione, aromatizzano le proprie birre, “inventano” una pozione a base di birra ed idromele, e i Druidi (i loro sacerdoti) creano un'infusione magica dai poteri curativi impiegando la salvia, mescolata al mosto di birra (è questa la magica bevanda di Asterix!).
E piace, a loro, la birra, e non solo a loro: con la progressiva conquista da parte delle popolazioni Germaniche dell’Europa, la birra si afferma come la bevanda più diffusa. Alla Chiesa nascente però la birra piace meno: fino al VI secolo, infatti, la chiesa romana vede nel consumo di birra una vera e propria adesione a riti e tradizioni pagane, per questo la considera una bevanda di serie B, relegandola “moralmente” in un angolo. Le cose cambiano piano piano, tanto che ad Aquisgrana, nel sinodo che lì vi si svolse nell’816, per la prima volta il consumo della birra viene esplicitamente introdotto all’interno della regola benedettina. Si affacciano così sul palcoscenico i veri protagonisti della produzione birraria monastica: i monaci fedeli alla Sancta Regula di San Benedetto da Norcia (480-547), padre del monachesimo occidentale. Che all’inizio si chiamano Benedettini, per poi assumere, nel corso dei secoli, diverse altre denominazioni (Cluniacensi, Premonstratensi, Certosini, Cistercensi), in un percorso complesso ma interessantissimo, legato alla fedeltà che ciascuno delle Congregazioni sopra nominate dichiara nei confronti della lettera, ma soprattutto dello spirito della Regula originaria. Che imponeva loro di pregare, ma anche di lavorare: cioè di mantenersi con una propria attività, senza far ricorso a nessun tipo di sostentamento esterno alla comunità. La produzione della birra, fin dall’inizio, rientra in quelle attività legate al la regola dell’”ora et labora”.

La produzione di birra monastica debutta nel 770 circa, nell'Abbazia di Gorze nella regione della Mosella. Nel monastero di S. Gallo (Svizzera), fin dall’820, si producevano già tre tipi di birre: la “prima melior”, la più ricca di malti e zuccheri e riservata agli ospiti illustri; la “secunda”, meno ricca e riservata ai monaci (che potevano berne fino a 5 “misure”); la “ tertia”, offerta in elemosina ai pellegrini e ai mendicanti. I monaci perfezionano i metodi di brassaggio e ne rimangono, fino almeno al XII - XIVI secolo, gli esclusivi detentori delle conoscenze e delle tecniche. E’ di una suora, Hilgedard von Bingen (1098-1179), botanica (fra le altre cose) dell'Abbazia di St. Rupert in Germania, la scoperta delle qualità particolari del luppolo, fino ad allora mai usato per la produzione birraria; ne sottolinea la capacità di arrestare la putrefazione del mosto di birra, allungandone la vita, e di conferire alla birra un gusto più fresco ed asciutto. Si ritiene che i monaci dell’Europa centrale siano state i primi a sfruttare su larga scala la scoperta della monaca tedesca: e non erano pochi. All'epoca della loro massima diffusione (prima della secolarizzazione avvenuta nel 1803) le birrerie conventuali nella sola Germania erano quasi 300: oggi ne rimangono in funzione solo sei, mentre un'altra ventina ha mantenuto il diritto di fregiarsi ancora dell'attributo "Klosterbrauerei" (birreria conventuale) pur essendo la gestione passata a proprietari laici. La più antica fra le 6 birrerie conventuali tuttora in funzione è quella di Weihenstepahn a Weltenburg, fondata nel 1050 e rimasta da allora sempre in funzione.
La produzione birraria dei monaci continua regolarmente fino alla rivoluzione francese, che spazza via più dell’80% delle residenze monastiche in Europa. La successiva rivoluzione industriale e le nuove leggi del mercato penalizzano sempre di più la residua produzione, rigorosamente artigianale, dei monaci, che si defilano sempre di più dal contesto produttivo generale. Si defilano, ma non si eclissano: questo grazie ad un piccolo gruppo di benedettini, i “duri e puri” Padri Trappisti dell’ Ordine dei Cisterciensi della Stretta Osservanza. Delle 20 e più abbazie produttrici di birre che potevano vantare in tutta Europa prima della rivoluzione francese, ne restano non più di otto, ma toste, che producono (grazie a Dio!) ostinatamente splendidi esempi di birra artigianale: una nicchia, nel contesto della produzione birraria mondiale, ma che nicchia! Se mi posso permettere di fare un paragone con il mondo vinicolo, le birre trappiste sono il Sassicaia della birra (e nel mio immaginario di troglodita del vino, il Sassicaia è il top del vino nel mondo, ma mi posso sbagliare). Una produzione che dal 1977 è tutelata da un marchio specifico, presente sulle etichette delle birre prodotte dagli attuali sette monasteri trappisti europei (sei in Belgio e uno in Olanda), rilasciato dalla International Trappist Association, che verifica il rispetto dei tre criteri fondamentali alla base del disciplinare:
• La birra deve essere prodotta all'interno delle mura di un'abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.• La produzione, la scelta dei processi produttivi e l'orientamento commerciale devono dipendere dalla comunità monastica.• Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci, alla beneficienza e non al profitto finanziario.

E in Italia? Le birre trappiste arrivano anche da noi, e ne parlerò più diffusamente in altri post; e da un po’ c’è un interessante esperimento, quello dei monaci della Cascinazza …..

(Per chi volesse approfondire l’argomento, qui di seguito i link delle tre sezioni del report storico più ampio che ho fatto per il blog inbirrerya:
http://inbirrerya.blogspot.com/2007/09/i-trappisti-e-le-birre-parte-1.html
http://inbirrerya.blogspot.com/2007/09/i-trappisti-e-le-birre-parte-2.htmlhttp://inbirrerya.blogspot.com/2007/10/i-trappisti-e-la-birra-parte-3.html

Alberto

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