lunedì 26 gennaio 2009

Diritto di primogenitura (in multiproprietà)

Gli antenati birrofili: dalla preistoria alla storia
La birra, come si è visto dalla storia del nome, è “affare” complicato, dalle molte sfaccettature. Se si fosse in campo psichiatrico la si potrebbe definire come un soggetto “dalle personalità multiple”, o, ancora meglio, affetto da un “disturbo dissociativo di identità”. Molti nomi, molte facce, e anche una paternità complicata, “in multiproprietà”. Questo perché, se si va alla ricerca delle origini storiche del prodotto, del progenitore che per primo abbia detto: “ecco, ce l’ho fatta: questa è la birra”, troveremo notizie e luoghi lontani fra di loro nello spazio, ma non nel tempo. Questo perché la birra è apparsa nella storia dell’umanità quasi simultaneamente in luoghi diversi del pianeta, spesso lontanissimi fra di loro e senza possibilità di contatti reciproci. Una cosa è certa: la birra è apparsa sulle tavole dei nostri progenitori (se di tavole si può parlare) fin dal Neolotico (VII millennio a.C.), in Cina (primi anche in questo!), nelle Americhe, nelle Isole Orcadi e anche in Medio Oriente, in Mesopotamia e in Egitto. Quando ancora i nostri antenati non avevano inventato un modo di scrivere (e, forse, anche quando parlavano fra di loro non è detto che si intendessero su tutto), erano già capaci di produrre (e riprodurre) questa bevanda, più o meno inebriante, sicuramente piacevole, decisamente frizzante. Alcuni di questi popoli (come gli Egiziani, per esempio, e i Babilonesi) attribuiscono a divinità la paternità di questo dono/scoperta (Osiride, protettrice dei morti, e Gilgamesh). Molti studiosi associano la scoperta e l’uso di questa bevanda alle mutate condizioni di vita delle popolazioni, divenute stanziali dopo secoli di nomadismo. E’ bevanda che segna, insieme ad altri fondamentali indicatori, un passaggio culturale importantissimo nella storia dell’umanità: l’uomo riesce a fermarsi, comincia a delimitare un luogo che piano piano diventa “casa”, la vita si allunga su di un orizzonte temporale più dilatato, nel quale cominciano a farsi spazio domande e riflessioni di più ampio respiro. Due però sono i luoghi che più hanno segnato la storia di questa bevanda, nell’antichità: la Mesopotamia e l’Egitto. Luoghi speciali, gente speciale, avantissimi per quei tempi (come Platinette, anche loro dicevano agli altri popoli: “scusate le spalle, ma siamo troooooppo avanti!”). La prima traccia inconfutabile dell'esistenza della birra si ha su di una tavoletta di argilla dell'epoca predinastica sumera (circa 3.700 a.C.), il celebre "Monumento Blu" che descrive i doni propiziatori offerti alla dea Nin-Harra: capretti, miele e birra. I Sumeri e i Babilonesi attribuivano grandissimo valore a questa bevanda, in due diversi ambiti: familiare/economico (essenziale nell’alimentazione di grandi e piccini, era anche usata per pagare il salario agli operai), religioso (era bevanda sacra, offerta e consumata dai sacerdoti, con una dea, Ninkasi, ad essa dedicata). Il tutto con una matrice comune: la birra era cosa da donne, loro la facevano in casa, loro la conservavano. Gli Egiziani spingono ancora di più sull’ “aspetto religioso” della bevanda: oltre che per il normale (e diffusissimo) uso quotidiano, la birra era considerata elemento essenziale e vitale anche per la vita ultraterrena. In numerose tombe sono state ritrovate scorte di birra, materiali e materie prime necessari per la sua fabbricazione, oltre a veri e propri modellini di birrifici. Rilevante, comunque, resta, anche per gli Egiziani, il valore economico attribuito alla bevanda: ai Faraoni erano dovuti come tasse dalle città e dalle province, migliaia di vasi di birra e, come per i Sumeri, il salario minimo era liquido (due anfore di birra al giorno). I faraoni stessi possedevano fabbriche di birra. Perché la birra aveva così valore nell’antichità? Semplice: essendo il risultato (allora misterioso) di una bollitura e di una fermentazione, era l’unica bevanda che si poteva bere con sicurezza (veniva usata per svezzare i bambini!); in più ti causava un po’ di sana euforia e ti conduceva ad uno stato di estasi religiosa (vi ricordate “alu”?) …. Che si vuole di più. I Romani e gli Elleni, due delle patrie vinicole del Mediterranee, guardarono con distacco questa passione mediorientale per la birra (che comunque importavano e consumavano in maniera significativa): la consideravano, soprattutto i romani, una bevanda degradata, rispetto al vino, considerato invece una sostanza integra. Il primo pub della nostra Penisola risale però proprio all’ 83 d.C., quando Agricola, governatore della Britannia, tornando a Roma, si portò dietro tre mastribirrai da Glevum (l'odierna Gloucester), e li insediò in una delle sue proprietà, che trasformò, appunto, in luogo di mescita.

Ho accennato alla Britannia: i Celti, e i popoli nordici in generale: da qui ripartirò nel prossimo post.

Per non rimanere solo sui libri di storia, una “declinazione” pratica di queste notizie. Più di una volta, negli ultimi anni, alcuni mastri birrai particolarmente fantasiosi, hanno cercato di produrre birre, dopo attente ricerche, che in qualche modo riproducessero gusto, odore e colore delle birre dei nostri primogenitori. Il primo (significativo) esperimento è stato fatto nel 1988 dall’Americana Anchor Brewing (una famoso produttore, semiartigianale, americano) con la sua Ninkasi (per chi volesse approfondire, può visitare il link http://www.anchorbrewing.com/beers/ninkasi.htm). Adesso non è più in produzione; ho avuto però la ventura di assaggiarla, un’esperienza che non rifarei volentieri. In ordine di tempo è venuta poi l’italiana Nora del birrificio artigianale Le Baladin di Piozzo di Cuneo, il primo, in ordine di tempo, e fra i migliori birrifici artigianali italiani, prodotta con grano kamut (lo stesso ritrovato nelle tombe dei faraoni). Birra non occasionale, ma prodotta normalmente e di facile reperibilità, dagli splendidi sentori esotici, perfetta per accompagnare una cucina speziata ( http://www.baladin.it/selezione/birra_baladin_nora.html). Ultima, almeno fra quelle che ho assaggiato, la ‘T Smisje Meso del geniale produttore artigianale belga Joan Brandt, proprietario e mastro birraio del birrificio De Regenboog (“l’arcobaleno”). La sua Meso è birra stranissima più simile ad una cedrata che ad una birra, e ancora non ha deciso se inserirla in pianta stabile nella propria linea produttiva; ne ho comunque fatto un resoconto più dettagliato qui: http://inbirrerya.blogspot.com/2008/03/t-smisje-meso-zythos-bier-festival-2008.html.

Forse si è capito qual è quella che mi è piaciuta di più.

Alla prossima.

Nessun commento:

Posta un commento

bei tempi...