sabato 4 luglio 2009

Le birre dell'estate

Il pretesto è il caldo, e un articolo presente all'interno dell'ultimo numero del Gambero Rosso: quali potrebbero essere le categorie di birre che meglio aiutano a sopportare/vincere il caldo estivo incipiente (?). La risposta, a mio modo di vedere, è molto facile: le categorie sono due, quella delle Biere Blanche (belghe) e quella delle Weisse (tedesche). Sto parlando, chiaramente, del segmento delle birre di qualità.
Comiciamo a dare un'occhiata alle biere blanche: noblesse oblige.

Nome: Biere Blanche (witbier in fiammingo)
Luogo di nascita: Brabante fiammingo, Nord della Francia
Tipologia: Birra ad alta fermentazione, dal moderato tenore alcolico (raramente si superano i 5°)Ingredienti: malto d’orzo, frumento non maltato, avena non maltata (raro). Speziata con coriandolo, scorza di arancia amara di curaçao
Particolarità: non filtrata e non pastorizzata, colore bianco lattiginoso (da qui il nome), opalescente

Storia: si deve risalire al medioevo, e far riferimento ad un paesino vicino Lovanio (30 km. circa da Bruxelles), Hoegaarden. Qui si produceva birra già dal 1318, ma tutto cambia nel XV secolo, con l’insediamento nella zona di una comunità di padri Begardi. I padri Begardi erano “l’alter ego” delle Beghine, movimento religioso del Nord Europa nato all’incirca nel XII secolo, formato da donne, spesso vedove di soldati morti in battaglia, che scelsero di vivere in comunità, spesso sotto la guida spirituale di un sacerdote. Non erano suore, non pronunciavano i voti e potevano tornare alla vita laica quando volevano; le loro comunità si chiamavano beghinaggi (ancora oggi ce ne sono 11 in Belgio e 2 in Olanda), nei quali si dava aiuto a donne sole o a persone malate e il cui ritmo di vita era scandito dalla preghiera. Dapprima appoggiato informalmente dalla Chiesa, il movimento delle Beghine vive alterne vicende, andando incontro anche ad accuse di eresia, le stesse nelle quali incorsero (insieme a dure repressioni) i padri Begardi, predicatori erranti che vivevano in povertà, spostandosi di villaggio in villaggio, denunciando gli abusi del clero e predicando il ritorno al cristianesimo delle origini.
In uno dei loro spostamenti, i Begardi si stabiliscono ad Hoegaarden, e lì cominciano a produrre birra e vino, presto imitati dai contadini della zona. Che danno vita ad un vero e proprio exploit produttivo: in un paesino di poco più di 2000 anime si arriva a contare 35 birrifici insediati all’interno del territorio comunale agli inizi del 1800. La Rivoluzione Francese fa quasi tabula rasa di questo boom produttivo, e lo stile birrario della zona corse il rischio dell’estinzione. Dai 35 birrifici di inizio ‘800, si arriva ai 2 soli birrai del 1955, Tomsin e Loriers, gli ultimi detentori del segreto produttivo delle blanche. Poi anche Loriers si arrende al mercato, e nel 1957 Tomsin, per sopraggiunti limiti di età, smette di produrre.
Un lattaio texano, vicino di casa di Tomsin (che aiutava nel tempo libero), Pierre Celis, nel 1965 decide di ridare una nuova vita produttiva alla biere blanche fiamminga, e insieme a due soci olandesi ricomincia a produrre con la stessa ricetta “carpita” in anni di osservazione del vicino Tomsin. Per 20 anni Pierre Celis, con i prodotti della sua Celis Brouwerij, rivitalizza il mercato di questa particolare tipologia birraria, fino a quando il suo stabilimento non prende fuoco: per ripianare i debiti, deve cedere alla InBev (il maggior produttore mondiale di birra) la maggioranza delle azioni della propria ditta, per poi trasferirsi, nel 1992, in America, dove tutt'ora produce. Ma il “miracolo” si era ormai compiuto: le biere blanche, da tipologia a rischio d’estinzione, si trasforma in birra “trendy”, che si ritaglia una bella fetta del mercato. A tutt’oggi ci sono almeno una cinquantina di biere blanches belghe, oltre a numerosissime altre produzioni europee e d’oltre oceano. E imastri birrai di tutto il mondo hanno apportato più di una variazione allo stile “classico” delle blanche, con l’introduzioni di nuove materie prime (grano kamut, farro, grano saraceno) e di speziature sempre più estreme.
Fra le “classiche” blanche belghe, da ricordare la capostipite Hoegaarden (in questi ultimi tempi un po’ cambiata, a dir la verità, in peggio), la Blanche de Watou, la Blanche de Charleroi, la Blanche des Neiges, la Mater, la Wittekerke, la st. Bernardus Blanche, la Titje, la Troublette, la Blanche de Namur. Degne di nota anche le olandesi Korenwolf e Wieckse Witte. Fra le blanche più particolari, da ricordare la Waaslander di Boelens e la Tarwe della Achilles, insieme alla Triverius della De Graal; la particolare Darbyste con l’aggiunta di sciroppo di fichi, le robuste Blanche de Hainaut della Dupont e Blanche de Honnelles dell’Abbaye des Rocs, la Blanche de Saisis della Ellezelloise (priva di spezie), la Jan de Lichte della Glazen Toren.
E gli taliani? Non stanno certo a guardare: alcune grandi produzioni, come la Enkir del Birrificio del Borgo, la Runa Bianca di Montegioco, la piemontese Talco, la sarda Friska, l'abruzzese Blanche de Valerie e la genovese Bianca, le chicche del Baladin, Wayan (sul confine fra una blance e una saison) e Isaac.
La differenza fra le italiane e le belghe? Il portafoglio, più che la qualità. Molto più care le italiane, veramente troppo, più facilmente reperibili le belghe, anche se molti beershop on-line cominciano ad essere ben forniti anche di bottiglie italiane. La grande distribuzione, per ora, è un po' fuori dal giro: vi si trovano con facilità solo le Hoegaardeen e la Blanche de Namur, nei pubs alcune delle birre sopra menzionate si cominciano a trovare.
Gli abbinamenti gastronomici: perfette per un aperitivo fresco, come in abbinamento con frittatine alle erbe, salumi non eccessivamente saporiti, formaggi freschi e freschissimi, pasta al pesto e verdure fritte in pastella.
Da ultimo, una tradizione puramente belga: la prima Hoegaarden della giornata dovrebbe essere bevuta completamente in “non più di tre sorsi” (ci si riferisce ad una bottiglia da 0,33 cl.)
Alberto Laschi

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