sabato 1 agosto 2009

Birra social globalizzata


Se c’è un complimento che (quasi) tutti fanno alla birra, è quello di definirla una bevanda “socializzante”, che favorisce cioè la nascita di comportamenti amicali e di condivisione. E’ una costante sociologica, studiata e confermata da più di un esperto, un vero e proprio “codice sociale”. In qualunque società nella quale si beve birra, se si invita qualcuno a condividere con te una (o più) birre, lo si fa non solo per educazione o semplice rispetto delle consuetudini sociali, ma è una vera e propria “offerta di amicizia”, una occasione informale e rilassata di confronto e interrelazione.
Una conferma di ciò l’ha fornita uno dei potenti della terra, Barak Obama, che ha invitato a casa sua, cioè alla White House, per sedersi attorno ad un tavolo, ciascuno con una birra in mano, due persone che avevano suscitato, con i loro comportamenti, un po’ di “chiasso”, al quale aveva contribuito anche Obama in persona. Pochi giorni fa, ad Harvard, un poliziotto bianco aveva arrestato un docente di colore della stessa famosissima università, senza motivo apparente o giustificazione significativa. In un paese nel quale la questione razziale è ancora molto viva, tale episodio non è passato sotto silenzio (anche se la magistratura americana ha rimesso quasi subito le cose, e il poliziotto, al loro posto); Obama poi ci ha messo il carico da 11, definendo “stupido” il comportamento della polizia locale. Siccome gli americani hanno, da sempre, una mentalità semplificata, questo episodio, in sé apparentemente banale, correva il rischio di amplificarsi a dismisura; così Barak ha pensato di mettere un po’ d’ordine mettendosi a sedere con i due protagonisti, di fronte ad un bel boccale di birra, per chiarire e chiarirsi reciprocamente le idee. Non di fronte ad una tazza di tè, o di caffè, né tantomeno ad un bicchiere di vino: una bella birra fresca, che, dicono, ha decisamente contribuito a rinfrescare le idee di tutti, e raffreddare i bollenti spiriti.
Bel segno, a mio parere, anche per noi italiani, in un momento come questo dove si sente solo parlare di tolleranza zero verso l’alcool e il suo consumo, di divieti di qua, di multe di là, di inviti alla disobbedienza civile verso leggi considerate ingiuste (vedi Renzi, sindaco di Firenze, e la sua “crociata” a favore dei lampredottari e del loro diritto di mescita). Un atteggiamento sereno contribuisce sempre a rasserenare il clima.
Accanto alla notizia, la curiosità: ma che birre stanno bevendo i tre amici nella foto? I soliti bene informati hanno sguinzagliato i segugi, e l’arcano è stato svelato: Obama ha bevuto una triste Bud Light, il poliziotto una Blue Moon e il professore una Red Stripe.

E qui molti sono rimasti delusi: in America il mercato della birra di qualità, artigianale, è molto più sviluppato che qui in Europa. Nel 2008 la birra artigianale ha visto più che raddoppiata al propria quota di mercato, che raggiunge l’attuale 4,2%: che, su un mercato birrario che muove annualmente negli USA circa 100 miliardi di dollari, rappresenta comunque la bella cifra di circa 6 miliardi di dollari!

Molti si speravano quindi che almeno una delle tre birre fosse rappresentativa di quel segmento di qualità, ma tutti sono rimasti delusi. Le tre birre sorseggiate sono l’esemplificazione dell’altra parte della medaglia, quella della globalizzazione. La Bud Light di Obama è una tristissima birra americana, sciapa e senza personalità, che però viene prodotta annualmente in 48 milioni di ettolitri, e risulta essere la birra più venduta negli USA e una fra le prime tre al mondo. E’ prodotta dalla Anheuser-Busch, la maggiore fabbrica americana di birra, di proprietà però (da circa un anno) della multinazionale belga Inbev. Questo “mostro” è uno dei più grandi produttori di birra del mondo, con circa 120.000 dipendenti, e brassa in giro per il mondo circa 200 birre diverse, per la mostruosa quantità di 46 miliardi di litri di birra (dati riferiti al 2007). L’altra birra “incriminata”, la Blue Moon, è delle 197 diverse birre prodotte dall’altro “mostro” birrario mondiale, la sudafricana SAB Miller, che possiede, fra le altre, le nostre Peroni, Dreher, Raffo. La Red Stripe invece è una “lageraccia” giamaicana, priva di assoluto spessore.
Una bella notizia, quella della composizione conviviale di un malinteso, insieme alla conferma che anche i piccoli gesti devono passare sotto le forche caudine della globalizzazione, dei gusti e del marketing, nel quale gli USA sono i veri maestri.

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